E sia poesia. A cura di GIO2 (Giorgio Bolletta e Giorgio Filippi).
Leila ha quattordici anni, frequenta la terza media, è nata in Italia e i suoi genitori sono immigrati dal Marocco.
Non altro. Non è necessario.
È così brava questa ragazzina che riesce, nella lingua che è sua (pensa in italiano, anche se conosce l’arabo e il francese) usando parole comuni, con ritmi spezzati con versi brevissimi, è così brava che scrive poesie come quasi tutti gli adolescenti hanno sempre fatto in segreto, lasciandole poi, nei diari annosi bislacchi della crescita. Leila no, scrive e con la ferma intenzione di mettersi allo specchio e vedersi, conoscersi, non si sente una deracine, usa parole che sono prova della sua storia, che danno voce al groviglio del suo animo, vuole instaurare un dialogo con le radici del suo intimo e, con altri lontani da lei vuole ritrovare, nonostante la realtà, la vita che ha incontrato, quella che incontra, consapevole che “non si può tornare indietro” ma che deve prendere la penna e, anche se sono “cambiate tante cose”, non si può tornare indietro.
Leila, nata in Italia, figlia di immigrati e perciò di seconda generazione, dalle ultime indagini Istat, fa parte di quei ragazzi sotto i diciotto anni che ha una vita relazionale meno intensa dei coetanei italiani, che è più esposta a episodi offensivi e di bullismo, che fa meno sport, che vive molto di più delle sue coetanee italiane le differenze di genere e perciò in netto svantaggio, che usa molto di più internet (si parla di 35,3% rispetto al 22,2% dei coetanei italiani) e che ancora di più, essendo una ragazzina “dovrebbe” – e si sottolinea “dovrebbe” – avere meno interazioni dirette con gli amici e invece scrive Naufragio (pag. 29). Scrive quasi gridando, urla la tragedia di chi perde la vita, la speranza, invoca Dio, chiedendo strette di mano, ascolta la voce muta di chi non ha più il coraggio perché non è capito.
Leila scrive, ha coraggio, deve e vuole fare. ◘
A cura della Redazione