Valentino Mercati è un imprenditore che ha saputo coniugare il “naso per gli affari” con il rispetto degli ecosistemi con cui ha interagito. Risultato non trascurabi le in tempi che vorrebbero rimuovere la crisi climatica, i guasti prodotti dall’uso di fonti energetiche fossili, gli effetti di lungo termine delle guerre.
In un contesto simile gli va riconosciuto il merito di aver profuso un impegno totale perché in Alta Valle del Tevere, tra Toscana e Umbria, si diffondesse una sensibilità per la salvaguardia dell’ambiente anche come fattore di vantaggio competitivo in economia. Un’azione sviluppata con atteggiamento esattamente opposto dello stile predatorio a cui ci ha abituato una parte dell’imprenditoria locale.
Risultato di questo sforzo per la società agricola Aboca, di cui è fondatore, un fatturato che ormai si attesta sui 300 milioni di euro grazie al lavoro di 1.623 persone.
Cifre che collocano l’azienda biturgense tra gli attori principali di questa “rivoluzione culturale” nel campo del settore healthcare. Esperienza che fornisce elementi inoppugna bili a coloro che la stanno studiando sulla giustezza dell’intuizione originaria: economia, ambiente, salute umana possono anzi, debbono, inventare modi per andare d’accordo. Un’alternativa non esiste.
A seguire le domande e le risposte di un colloquio tenuto alla fine del 2023.
Cavalier Mercati, quale valutazione dà sullo stato delle cose presenti?
Aver creato e fatto crescere un'azienda che in 45 anni ha raggiunto risultati di cui siamo più che fieri dimostra che c'è la possibilità di trasformare in modo evolutivo la realtà in cui siamo immersi: la dovremmo liberare da quella che io definisco “stupidità diffusa” crescente.
Il "riduzionismo" porta al suicidio la specie umana
In questa fase della storia planetaria la specie umana si sta suicidando a causa del pensiero riduzionista che ha egemonizzato la nostra civiltà fino a qualche tempo fa e che si mantiene ben saldo nei processi economici: bisogna uscire dalla bolla che ci fa da “comfort zone”, ci rende incapaci di guardare il futuro e ci pervade di un senso di impotenza. Il riduzionismo tenta di scomporre in singoli elementi la realtà del vivente sul pianeta Terra, realtà dalle innumerevoli sfaccettature legate da relazioni la cui scoperta sembra non avere mai fine.
C’è una “formula” alla base dei risultati conseguiti da Aboca?
Il successo di Aboca deriva dalla capacità di ascolto per le sensibilità di coloro che hanno una visione integrata del pianeta e dei sistemi viventi che lo abitano. Atteggiamento che sollecita un pensiero evolutivo e un modo di agire in grado di fronteggiare la complessità di un’epoca che sembra non avere più un centro culturale. Da qui anche il sostegno che stiamo dando alla promozione culturale nei territori a cavallo tra Umbria e Toscana.
In questi tempi cresce costantemente il numero delle persone che, sempre più numerose, rivolgendosi alla nostra azienda – magari sulla base dell’istinto e del senso di sopravvivenza– vogliono contrastare la stupidità a cui accennavo poc’anzi, liberarsi dall’ignoranza, dalla superficialità e spesso dalla paura. C’è da promuovere una vera e propria “bonifica culturale” in numerose realtà, comprese quelle imprenditoriali. Aboca ha lavorato in questa direzione con le scelte susseguitesi nei decenni anche nel promuovere la crescita culturale di tutto il territorio.
Lei per anni ha condotto, in parallelo, un’azione “industriale” e un’altra culturale: dopo quasi mezzo secolo quale scenario ne è scaturito?
Alla fine degli anni ‘70 ho pensato la costruzione e lo sviluppo di Aboca in Valle Tiberina, territorio che può essere considerato un “incubatore” per il Rinascimento italiano. Avevo individuato nella valorizzazione delle risorse ambientali l’innesco per una nuova esplosione di cultura e creatività come ispiratrici anche per nuove forme di economia. Una realtà geografica unitaria spezzata dalla divisione tra Granducato e Stato pontificio; effetto di quella divisione fu il rallentamento delle dinamiche sociali ed economiche a Città di Castello e il ritmo evolutivo ben più sostenuto di Sansepolcro per impulso dei Medici.
Fuori dalla trappola con le "Utopie Concrete"
Economia che iniziasse a uscire dalla trappola riduzionistica di cui ho accennato in apertura. Per questo ripenso all’intenso confronto che, in quegli anni, ebbi con Saverio Tutino (animatore dell’Archivio diaristico di Pieve S. Stefano, ndr) e Karl-Ludwig Schibel. Ricordo ancora la domenica mattina in cui incontrai Tutino a Fontecchio quando, dai ragionamenti su ciò che si sarebbe potuto fare, emerse l’idea di promuovere “Utopie concrete”.
Un’opera di lunga lena che marcò un primo storico risultato con le celebrazioni per i 500 anni (2009) dalla pubblicazione dell’opera di Luca Pacioli, De divina proportione illustrato da Leonardo da Vinci: l’opera che meglio di ogni altra, e per prima nell’epoca moderna, ha spiegato le proporzioni matematiche (il titolo si riferisce alla sezione aurea) e la loro applicazione alla geometria, alle arti visive, all’architettura. Seconda vetta fu sicuramente l’iniziativa (2017) dedicata a Luca Pacioli, tra Piero della Francesca e Leonardo.
La sua scelta di sostenere iniziative di alto profilo culturale derivava dalla convinzione che era tempo di costruire nuovi “catalizzatori” che sollecitassero trasformazioni di queste realtà….
Aboca mosse i suoi primi passi alla fine degli anni ’80 guardando anche alla possibilità di introdurre il principio di agricoltura organica nella coltivazione del tabacco. Una fase parallela alla crescita dei movimenti “verdi” da cui man mano presi le distanze per il prevalere dell’ideologia della decrescita, per me “infelice”... altro che felice.
Nella foto: una coltivazione di Aboca
Ricordare la mia scelta di allearmi con l’intelligenza naturale, quella insita nei sistemi viventi, in questo scorcio temporale (di inizio 2024), fa quasi venire i brividi pensando al gran chiacchiericcio su quella “artificiale” di intelligenza:
Altro che artificiale: la vera intelligenza è quella naturale
ultimo esempio della somma presunzione che attanaglia l’essere umano schiavo di quel pensiero riduzionistico che non mi stancherò mai di citare. L’umanità è un “organismo vivente” e in quanto tale deve fare i conti con le grandi leggi della vita, non quelle morali bensì quelle della biologia….altro che “fatti a immagine e somiglianza di Dio”! Questa è la stupidità che si innesca sulla presunzione. Noi viviamo in una bolla artificiale pazzesca alimentata da una sorta di oscurantismo di cui è complicato identificarne l’origine, anche se so che è partita dal 16mo secolo: la cesura avvenne tra il pensiero di Leonardo e quello di Paracelso con un ruolo particolare della medicina e l’emergere del pensiero alchemico. La ricerca nella materia del principio e del potere divino coincise con l’inizio di un pensiero razionalistico: ebbe come effetto l’oscuramento della consapevolezza del genere umano di appartenere al sistema vivente nel suo insieme e fece emergere la presunzione di poter trasformare il creato, fino all’idea di poterlo addiritttura migliorare. Da lì è iniziata la tessitura di un artificio totale che sta finendo per avvolgerci.
“Intelligenza naturale”: un’espressione di pensiero critico, concetto che non avrà avuto grande spazio nel mondo dell’imprenditoria e nelle amministrazioni locali...
Queste cose le posso dire tranquillamente, anche quando incontro i miei colleghi di altri settori; le posso dire grazie alla mia posizione economica, grazie ai risultati delle mie aziende, grazie alla tranquillità che mi viene dai tanti anni che ho sulle spalle…
Ma quando sottopone queste posizioni ad altri titolari o dirigenti d’azienda quali effetti registra?
Rimango sempre sorpreso: quando faccio affermazioni anche “pesanti”, lancio i miei j’accuse nei confronti di comportamenti per me criticabili difficilmente mi viene risposto con argomentazioni che entrano nel merito delle questioni. Mi è capitato più volte di partire dal concetto di “artefatto” che è esattamente il contrario di “fatto ad arte”: tre parole che a seconda della loro sequenza cambiano completamente di significato. Sembra di parlare di filosofia della scienza o di linguistica... invece parliamo d’impresa utilizzando concetti applicati anche alle espressioni della creatività umana nelle varie arti.
Come fa a definire il campo di una discussione che qualcuno vorrebbe considerare astratta?
Faccio ricorso ad una proiezione temporale e chiedo: “quante imprese saranno ancora in piedi nel 2050?”. Dopodiché stimolo una riflessione sul bivio che ci troviamo davanti: andare verso l’artefatto (o artificiale quando si tratta di produzione tradizionale) oppure dirigersi su ciò che viene “fatto ad arte” che, per me, vuol dire “aderente alla natura”.
Aboca è partita decenni fa pensando a una trasformazione “verso natura” della coltivazione del tabacco: quali risultati ha ottenuto?
La proposta che lanciammo era proprio quella di un “tabacco fatto ad arte” cosa che fece un putiferio ma, che a distanza di decenni, si era rivelata come un’intuizione temeraria.
La "sconfitta" del tabacco bio si è trasformata nel successo di Aboca
Al di là delle polemiche e degli scontri di quegli anni si è trasformata nel tocco magico che ha spinto Aboca nel campo delle piante officinali. Basti pensare alla sigaretta elettronica: il tabacco da sigaretta non si coltiva più e la Philip Morris è già orientata in questo senso. La specifica del tabacco cambia completamente… All’orizzonte del 2050 rimarrà solo il problema dei pesticidi e non verrà risolto nemmeno quello sulla relazione tra il tabacco e il nostro organismo.
Come si può affrontare questa relazione tra comportamenti umani e tutela della salute?
Dobbiamo inserire il fattore “coscienza” tra corpi (hardware) e le leggi del sistema vivente (software) studiandone le interconnessioni: questo è il mio attuale lavoro con una nuova azienda che ho costituito appositamente per capire la struttura profonda della materia organica e inorganica. Quali sono le leggi con cui la natura programma la forma degli esseri viventi? Le frontiere di indagine raggiunte dalle scienze ci mettono a disposizione nuove conoscenze che servono a tentare nuove strade anche nella realizzazione di rimedi derivanti dall’abbinamento di molecole rintracciabili nell’infinita varietà di essenze vegetali presenti sulla Terra. Insomma un intreccio di relazioni molteplici e individuabili con molto impegno.
Insomma, di qui al 2050 quale scenario vede nell’Alta Valle Tiberina?
Ho la sensazione che stia crescendo, seppur molto lentamente, la consapevolezza sull’urgenza di elaborare prospettive: abbiamo promosso per questo la Fondazione “Progetto Valtiberina” presieduta da mio figlio Massimo, che sta promuovendo iniziative per accrescere conoscenza e sensibilità su natura, risorse e problemi del territorio pensandolo inserito in un contesto ben più ampio. Ho raccolto l’appoggio di vari imprenditori disponibili a sostenere economicamente questa scommessa, sociale e culturale, che vuol guardare ai prossimi 20 anni con la consapevolezza di come potrebbe manifestarsi la trasformazione di queste realtà. Siamo noi che abbiamo innescato questo processo e cominciare ad avere delle risposte è incoraggiante.
Sembra, tuttavia, una realtà che reagisce con tempi lunghi che potrebbero rivelarsi uno “svantaggio competititvo”...
È per questo che, spesso, divento anche provocatorio nelle mie valutazioni: perché le provocazioni sono indice di urgenza quando mancano risposte a sollecitazioni chiare, verso il sistema delle imprese, verso le amministrazioni locali e le rappresnetanze politiche. Prendiamo il caso dell’acqua potabile. In una relazione tenuta a Bologna alcuni anni fa ho squadernato una serie di cifre da cui emergeva che, sull’orizzonte del 2050, il pianeta rischia di rimanere senza acqua potabile. Noi disponiamo di una grande riserva costituita dall’invaso del Montedoglio che rifornisce Arezzo e Cortona città con poche sorgenti dalla portata insufficiente a rifornirle. La diga e la corretta utilizzazione della riserva idrica contenuta sono stati il tema di un convegno organizzato da Progetto Valtiberina il 29 novembre 2023 dal quale è stato lanciato un appello a tutti i comuni della zona perché si attivino nella sua tutela per la sopravvivenza di chi nascerà nel 2050.
I risultati raggiunti come imprenditore non sono misurabili semplicemente in termini di valore economico: ne rivendico anche la natura culturale che andrebbe a confrontarsi con gli effetti prodotti da una riflessione filosofica: non può prescindere dall’indicare la proveninenza delle risorse economiche necessarie a produrre i cambiamenti auspicati anche nel nostro modo di pensare al futuro. Da qui la domanda che mi sentirei di porre agli imprenditori: “la tua impresa nel 2050 sarà chiusa o aperta?” Se poi ci spostiamo al 2100 ci sarà da fare i conti con il clima di un altro pianeta…
Come si fa a far passare questo modo di pensare, queste riflessioni in un ambiente come quello imprenditoriale?
Sono stato invitato a tenere una relazione all’assemblea annuale di Confagricoltura. Settecento imprenditori da tutta l'Italia ai quali ho detto: “solo il 20% di coloro che sono presenti in questa sala avrà conservato il proprio ruolo nel 2030, fra 7 anni; la riduzione proseguirà inesorabile e nel 2050 di quel 20% rimarrà solo il 20, ovvero il 4% di venti anni prima. Le aziende davanti a prospettive del genere si arroccano non avendo chiarezza sul potere di cui dispongono, così si finisce per vendere l'anima all’agro-industria e alla chimica, e tralasciano che l’agricoltura è la prima sorgente della vita, quindi del potere. E non si tratta solo di mangiare, ma anche di respirare e di bere.
Lei si rivolge al solo al settore agricolo o guarda e parla anche con gli altri comparti produttivi?
Prima di tutto al settore agricolo dove rimane forte l’impronta della cultura “latifondista” senza alcun pensiero per le prospettive a venire: basta che arrivino i soldi e tutto è al suo posto. Dopodiché c'è Coldiretti con tutti gli strascichi della cultura mezzadrile risalente a mezzo secolo fa. Nessuna delle due categorie si sente parte di una comunità né contempla il principio del “bene comune”, da tutelare e salvaguardare per tramandarlo il più intatto possibile al futuro.
Nella foto: Museo Aboca a Sansepolcro
Considerata l’impotenza della politica non so individuare gli interlocutori che possono aiutare a diminuire la velocità a cui stiamo precipitando lungo la china dell’autodistruzione.
I "pifferai" che ci portano in fondo al mare
Anzi, penso proprio che siamo guidati da qualche “pifferaio magico” e rischiamo di finire tutti in mare.
In questo territorio Aboca è diventata un punto di riferimento per una possibile trasformazione dell’economia in termini di tutela ambientale e trasformazione evolutiva dell’ agricoltura: che cosa dovrebbe svilupparsi per incentivare questo processo?
Come azienda partiamo dall’healthcare, con una modalità che il mercato (e la scienza) hanno riconosciute come fondate ed efficienti; utilizziamo tutte le conoscenze scientifiche affrancate dalla “iattura” del riduzionismo che ha valorizzato la chimica (artefatto, ndr) a discapito delle relazioni tra i sistemi viventi analizzabili con la fisica. Conosciamo qualcosa dei sistemi viventi grazie agli studi sull’evoluzione.
Chimica: sviluppo parossistico dell'artificiale
Adesso si tratta di mettere a frutto gli studi dell’ultimo secolo che ancora per pigrizia intellettuale, per convenienza ha penalizzato la biofisica a vantaggio della chimica.
Dalle sue parole emerge una forte avversione per la chimica...
La chimica, ricordiamoci, è una balla colossale, lo sviluppo parossistico dell’artificiale, dell’arte-fatto. I processi indotti dalla chimica di laboratorio per la trasformazione (o la creazione) della materia in natura non esistono, ricordiamolo. Anche nel nome si intravvede la sua stretta parentela con l’alchimia. Di tutte le intuizioni e le scoperte della fisica (pensiamo alla quantistica, alla teoria dei sistemi) del secolo scorso si è fatto pochissimo uso (energia atomica a parte). L’umanità si è spostata pochissimo su quel fronte perché richiede una sensibilità nuova per la complessità.
Vista la nettezza della sua posizione ci può dire che cosa sta facendo per recuperare queste trascuratezze?
Ho creato un’azienda – laboratorio, esterna ad Aboca anche se controllata al 100% dalla mia famiglia, dove si fa ricerca di biologia molecolare, dove si incomincia a conoscere e si tenta di capire quali sono le leggi profonde del sistema vivente, della programmazione e della trasmissione delle caratteristiche genetiche.
C’è solo la sua nuova azienda ad effettuare queste ricerche?
Diciamo che a livello mondiale come come know-how su questo filone, mi considero nella posizione più avanzata. Non proprio solo ma sono ancora poche le realtà che se ne stanno occupando.
Qualcuno si rende conto che interagendo da una collaborazione potrebbero scaturire risultati incoraggianti?
Siamo stati tra i protagonisti a livello europeo della tavola di consultazione per un nuovo regolamento in medicina, che presuppone di curarsi con azioni fisiologiche non farmacologiche né chimiche fuori dalle regole del vivente.
Si tratta del Regolamento (UE) 2017/745 applicabile dal 26 maggio 2021: modifica le norme che disciplinano il sistema dei dispositivi medici, tenendo conto degli sviluppi degli ultimi vent'anni, con l’obiettivo di garantire un quadro normativo solido, idoneo a mantenere un elevato livello di sicurezza. Consente oggi di intervenire in medicina e poter regolamentare anche gli integratori alimentari. Norme che guardano alla medicina secondo i criteri dell’omeostasi, non della fisiopatologia, senza aspettare che l'organismo si ammali. L’espressione “azione fisiologica”, presente in quel Regolamento Ue, è frutto del mio intervento per non lasciare solo la possibilità dell'azione nutrizionale chimica.
L’attività del centro di ricerca è sviluppata insieme a qualche università?
Sugli obiettivi che ho raggiunto (a differenza dei centri di ricerca ispirati dalla chimica) ho riscontri incoraggianti dal mercato: gli utenti ne apprezzano l’efficacia. Risultati che le multinazionali con i loro farmaci “figli” della chimica non riescono a raggiungere specie nelle patologie cronico - degenerative. È il nostro successo a rinforzare la nostra autorevolezza, così vendiamo alle multinazionali alcuni nostri prodotti. Tra questi un antidolorifico (il Voltanatura) che ha trovato il suo spazio anche in vari paesi trainando anche il brand Aboca.
Quindi provvedete anche a brevettare i vostri prodotti?
Stiamo iniziando adesso a lavorare per avere un nuovo campo brevettuale perché tutto il mondo si muove sulla privativa per quello che riguarda la biologia molecolare con il portato degli ogm, settore in cui la leva principale è costituita proprio dai brevetti: anche questo significa l’egemonia della cultura riduzionista. Basti citare il caso della piccola Aspirina: nasce 120 anni fa grazie a un principio attivo, estratto dal salice e dalla spirea ulmaria, l’acido salicidico efficace antinfiammatorio e antipiretico.
All'inizio del XX secolo le regole brevettuali dettate negli Stati Uniti (che guidano tutto il sistema internazionale, ndr) vietavano di brevettare le sostanze naturali. Per poter rivendicare una privativa le case farmaceutiche hanno iniziato a modificare le sostanze naturali utilizzando prima la morfina e poi la cocaina.
La creazione dell’industria chimica, nella prima metà dell’Ottocento, ha scatenato una dura competizione per brevettare nuovi prodotti ottenuti nei laboratori di farmacia. Si cominciò sintetizzando l’urea dall’ammoniaca, sostanza da produzione animale, prima significativa separazione tra essenza complessa (l'anima) e parte di essa (il corpo) senza tenere conto di tutte le implicazioni derivanti dalla sintesi. Questo per me è il “riduzionismo”.
Come pensa di poter far transitare questa visione olistica della realtà nella società locale?
Sta già accadendo, non tanto per una visione politica e culturale, ma per uno stato di necessità. L’evidenza che l’artificialità (leggi “la chimica”) non funziona in un organismo complesso qual’è il nostro organismo a fronte dei nostri risultati (non solo economici) sta spingendo verso questa consapevolezza. Basti citare un po' di patologie: deficit cognitivi, tumori, diabete… tutti campi in cui l'industria farmaceutica non riesce a dare una risposta convincente. Questo dicono gli specialisti medici (compresi diversi primari) in visita, da tutto il mondo industrializzato, nei nostri laboratori per valutare quello che stiamo facendo.
Quindi state diventando un punto di riferimento internazionale anche per la ricerca?
Rispondo citando un chirurgo statunitense, tra i più considerati nelle cure per i tumori alla testa e collo: ci ha chiesto di collaborare perché la nostra ricerca opera in ambiti diversi da quelli a cui sono abituati. Abbiamo licenziato alcune settimane fa un nuovo prodotto per l’osteoporosi da assumere in post-menopausa, un prodotto pensato tenendo conto che la programmazione genetica alla base della nostra conformazione risale a migliaia di anni fa mentre le nostre condizioni di vita (almeno in una parte del pianeta) sono profondamente mutate. Si tratta, allora, quasi di “aggirare” quella programmazione senza alcuna manipolazione. Il desiderio di sostanze dolci in menopausa può essere assecondato senza stressare il nostro metabolismo per trasformare il cibo in zuccheri.
La “pietra filosofale” consisterebbe quindi nell’adattare i ritrovati agli equilibri sottili del nostro fisico e del nostro metabolismo?
La nostra missione è “accompagnare” il fisico nelle sue necessità tenendo conto delle trasformazioni materiali in cui siamo immersi e guardando anche alle nuove conoscenze sull’anatomia umana, a cominciare dal microbiota. L’insieme di miliardi di organismi, batteri, virus che abitano il nostro corpo e che esprimono miliardi di connessioni al secondo, una dimensione fantascientifica, in continua trasformazione. Prendiamo il tema delle infiammazioni croniche: il nostro cibo è carente di fibre e provoca le infiammazioni intestinali; se ci aggiungiamo il vino, lavorato grazie a decine di sostanze chimiche anche nelle versioni più pregiate, la cronicità è garantita e lo squilibrio reso permanente. Questa consapevolezza guida ogni nostra azione.
D. - Quali scelte fate perché in questa zona possa emergere più con più forza l'agricoltura praticata con metodi rispettosi degli equilibri naturali?
Noi coltiviamo attualmente 1700 ettari in Valdichiana, Casentino e Valtiberina toscana, tutte superfici in provincia di Arezzo; tutto con metodi biologici.
" In ritirata" dall'Umbria, cresciuti in Toscana
Ci siamo ritirati dall’Umbria per l’impossibilità di arginare gli effetti della coltivazione del tabacco, con il suo portato di pesticidi e fitofarmaci, impossibili da arginare se non mettendoci una significativa distanza. La lobby del settore non è mai stata disponibile a confrontarsi per progetti di trasformazione che, man mano, liberassero la zona dalla monocoltura tabacchicola. Tra l’altro ha sempre avuto propri rappresentanti nelle giunte regionali di centro – sinistra che hanno lavorato unicamente in funzione della cassa e non della salute complessiva dell’ambiente e delle persone
Questo significa che in provincia di Arezzo avete trovato delle condizioni ambientali compatibili con i vostri standard?
È necessario avere delle unità protette dall'inquinamento esterno, quindi cerchiamo di accorpare unità produttive. Inoltre siamo vicini al grande serbatoio di acqua pulita costituita dall’invaso del Montedoglio...
… ci sta dicendo che a due passi dai luoghi dove la coltivazione chimica del tabacco la fa da padrone, si pratica agricoltura di successo economico e culturale?
Certo: alle piogge acide è impossibile sfuggire, da nessuna parte del mondo; però disporre di superfici distanti almeno un chilometro da quelle in cui vengono sparsi i pesticidi significa mitigare gli effetti del vento. Per questo ci stiamo impegnando nell’acquisizioni di nuove aree come quelle di Lucignano e a Sansepolcro. Ci stiamo attrezzando per ridurre al minimo lo spreco di prodotto che viene toccato da inquinanti e che non è possibile decontaminare.
Tra le campagne di opinione da lei promosse ce ne sono state alcune per l’abolizione degli allevamenti intensivi: ha avuto dei risultati?
C’è da sentirsi male vedendo come sono trattati gli animali nelle strutture intensive, un’umiliazione per lo stesso genere umano, un insulto al rispetto che dobbiamo alla vita nelle sue forme, della sofferenza inflitta a esseri senzienti.
Nella foto: Valentino Mercati nel suo studio
Ciò premesso posso dire che qualcosa si è mosso dopo il mio intervento all’assemblea generale di Confagricoltura, tenuta nel luglio 2023: nel successivo novembre ho accolto in azienda lo “stato maggiore” dell’Enpaia, una trentina di persone alle quali ho illustrato la mia “politica” zootecnica, visto che da qualche anno ho rilevato degli allevamenti in Valtiberina e Valdichiana.
In Valdichiana la sfida per una zootecnia a "impatto zero"
Se da quelle parti vedete una vacca di razza chianina quella appartiene ad un mio impianto. Anche questa una scelta azzeccata visti i risultati economici che sto registrando.
Quindi Confagricoltura sta modificando le politiche in fatto di zootecnia?
Questo si capisce dalla richiesta che mi è arrivata dallo stesso presidente (Giansanti): trasferire i miei metodi di allevamento a buona parte di quelli che fanno riferimento a Confagricoltura al cui interno, evidentemente, si è aperta una discussione sull’egemonia che viene esercitata sull’associazione da parte delle aziende dell’Italia settentrionale che non tengono conto dell’impatto ambientale dei loro impianti. Un atteggiamento che finisce per penalizzare le aziende nel resto della Penisola costrette a seguire protocolli operativi al limite delle normative che, nel giro di qualche anno, le metteranno fuori mercato. Così va levandosi un venticello di contestazione derivante dalla preoccupazione di dare un futuro alle aziende attraverso quella che dovrà essere per forza una vera e propria riconversione fatta di attenzione agli ecosistemi e al benessere animale: fattori sempre più richiesti da un numero crescente di consumatori che determineranno il successo (o il fallimento) di quelle aziende.
Quali risposte ha avuto dal mondo della scuola, dell’università alle proposte che emergono dall’esperienza di Aboca?
Fino a tre anni fa tenevo relazioni alla Luiss nei corsi di specializzazione post - laurea per i dottorandi. Dopodiché ho smesso perché mi è venuto da dire: “voi avete il cervello anchilosato dalla didattica”. Stesso pensiero ho espresso in un’altra occasione simile all’Università di Milano Bicocca. Ho maturato la sensazione che l’università faccia ricerca per migliorare quello che c’è ma non cerca quello che non conosce. Limitarsi alla didattica significa mantenere l’orizzonte basso e questo non ci porta da nessuna parte.
Grandi soddisfazioni arrivano, invece, con i più piccoli, fino alle medie. Vado nelle scuole di Arezzo e le scolaresche vengono in visita da noi: la sensazione che danno è di grande curiosità, sensibilità e capacità di fare tesoro delle esperienze che descriviamo loro. Accade fino al liceo, dopodiché queste ragazze e questi ragazzi sembrano risucchiati dalla narrazione dominante.
Dalle cose che ci sta dicendo sembra che lei non riponga grande fiducia nella sensibilità delle isituzioni accademiche…
Decisamente no. E glielo dice un componente dell’Accademia dei Georgofili a Firenze e dei Fisiocritici a Siena: un mondo di referenti dal cervello anchilosato e cristallizzato dal potere di quello che insegnano. Non hanno l’umiltà di rimettersi in gioco. Sanno di non sapere ma gli sta bene così...
D. - Di certo queste posizioni non tranquillizzeranno gli interlocutori accademici...
“Natura, vita, artificio” è il titolo di un seminario che abbiamo tenuto a Sansepolcro il 30 novembre, in collaborazione con l’Università di Camerino: una tentativo di tenere insieme questi concetti. Ebbene nella mia relazione ho detto chiaramente che “artificio” è antitetico a “vita”, diversamente dall’espressione “fatto ad arte”, posizione che ha scandalizzato qualche docente universitario. È l’apertura di una strada per il cosiddetto “transumanesimo” e io non ci sto!
D. - Quindi gli incontri scientifici organizzati da Aboca servono anche alla promozione di una filosofia della scienza che recuperi gli antichi saperi di fronte alla ricerca ossessiva di nuove prospettive?
Abbiamo lanciato un messaggio in perfetta antitesi della farmacologia perché proponiamo di curare in un modo fisiologico: usiamo un insieme di saperi e di idee che vanno diffuse soprattutto grazie ad una sorta di “apostolato” che adotta le regole della vita che permeano il mondo vegetale capace di colonizzare il pianeta grazie alla disseminazione dei propri geni. E la spinta arriva anche dal successo economico che la nostra proposta sta riscuotendo.
Medici e specialisti collaborano alle ricerche di Aboca
Una dinamica che sta spostando Aboca dai rimedi per le patologie minori (tosse, raffreddore, lassativo, tonici) a quelle di livello più elevato: veniamo interpellati da medici ospedalieri sui casi di antibiotico-resistenza, sul dolore al seno patito da molte donne in menopausa. Il nostro orizzonte si allarga anche grazie alle richieste che ci vengono dagli Stati Uniti su patologie oncologiche o cronico-degenerative. Stiamo arrivando a sostituire le statine e non è poco.
D. - Quali sono gli orizzonti verso cui state indirizzando le attenzioni e gli studi?
Siamo diventati un punto di riferimento per la pediatria e ci vogliamo estendere alla geriatria, soprattutto per arginare gli effetti derivanti dall’uso intenso di farmaci come accade in età avanzata. Il tempo di vita si è allungato a costo di una sempre più intensa assunzione di farmaci: sopra a 70 anni sono frequenti i casi di arrivare a prendere anche 15 diversi farmaci, di cui 4 sono salvavita e la metà degli altri mitigano gli effetti di quelli principali. Nella grande residenza per anziani che abbiamo recentemente acquistato a Firenze potremo valutare con estrema precisione l’efficacia di questi nostri prodotti e arrivare a risultati impossibili per la farmacologia canonica.
Qual’è la contestazione di fondo verso la farmacologia, quindi per la chimica e quindi al concetto di “artificiale”?
Nessuno si rende conto che una sostanza frutto di “artificio” immessa nel meccanismo complesso del vivente finisce per produrre alterazioni che innescano processi di lunga durata. O si capisce il vivente e si sta all’interno delle sue regole oppure si è perdenti. Questo è il nostro modo di pensare e agire che ci sta avvantaggiando in modo crescente. Stanno dando frutti i “semi” culturali che abbiamo diffuso: i risultati arrivano nascono non fosse altro perché lo stato di necessità di un numero crescente di persone è più forte di qualsiasi argomento contrario.
La ricchezza degli elementi curativi generati dal sistema vegetale rimanda alla questione della biodiversità: dove colloca un elemento del genere?
I discorsi sulla biodiversità costituiscono l’ennesima comfort zone che fa da ottimo alibi al pensiero da me definito “oscurantista”. Il primo fattore di biodiversità risiede nell'organismo umano, il microbiota, risiede nel nostro intestino, una parte del corpo che non proteggiamo visto il trattamento di cibi e bevande di ogni genere a cui lo obblighiamo.
Quindi quali sarebbero gli elementi che mettono in discussione la biodiversità?
Al primo posto c'è la chimica, processo artificiale, contro natura, verso la biodegradabilità. In secondo luogo la biodiversità è basata su elementi naturali che, man mano, si vanno trasformando: da qui l’indispensabilità di basare le nostre deduzioni sulla centralità del ciclo nascita – sviluppo – morte. La maggioranza di coloro che fanno ricerca in campo chimico non sembra disponibile a voltare lo sguardo verso risultati che portino alla biodegradabilità. Ci sarebbe anche il fattore energetico a spingere in quella direzione: una molecola di sintesi richiede un miliardo di volte di forza in più di quanto non accada in natura; le forze termodinamiche in ballo sono enormi quando si assembla una sostanza chimica.
Chimica: nuove molecole come bombe atomiche
Quali sono gli argomenti del confronto tra la filosofia di Aboca e quella di chi fa ricerca in campo prioritariamente chimico?
“Io sono chimico tu mi accusi di non occuparmi di biodegradabilità; noi chimici abbiamo siamo abbiamo la missione di fare nuove molecole, ma non di smontarle” questo mi son sentito dire un paio di anni fa da una ricercatrice attiva a Perugia. Traduco: “Noi siamo capaci a montarla, io ti faccio la bomba atomica, però se non sono capace di smontarla devo farla esplodere per forza”.
Per sostenere confronti del genere dovrà dotarsi di robusti strumenti scientifici…
Sarà sufficiente motivare, in futyuro, la richiesta di sicurezza sugli “artefatti”.
Che opinione si è fatta dei vaccini e del loro uso?
Io mi sono vaccinato, per carità, voglio vivere; sono consapevole, però, che una volta che si è vaccinati non dovrai più procreare perché il tuo sistema immunitario è stato ingannato. E chi nasce riceverebbe un sistema immunitario falsato che non segue più quelle che sono le regole del vivente.
Che cosa pensa del sistema mediatico attuale e del ruolo svolto da chi fa giornalismo scientifico?
Il confronto tra la mia esperienza di giornalista scientifico negli anni ‘80 e la realtà attuale è, a dir poco, scoraggiante. Diventa sempre più difficile scrivere e parlare in totale libertà di espressione, soprattutto quando si tratta di mettere alla berlina i potentati economici. Se azzardi a scrivere, parlare, intervistare sui comportamenti veri dei grandi player perdi subito la pubblicità che questi veicolano attraverso la tua testata. Da qui cresce il fenomeno del “ventriloquismo” giornalistico, ovvero aumenta il numero delle persone che danno la propria voce a parole altrui. Questa è la battuta che ho fatto agli organizzatori di un convegno a Firenze dove ero stato invitato per una relazione… che non ho più tenuto.